Questo che vi propongo è un Racconto tratto dal mio libro "
CHIAMATEMI STREGA", pubblicato nel 2013.
Questo racconto parla della
VIOLENZA PSICOLOGICA sulle DONNE in FAMIGLIA.
Buona lettura e buona riflessione....
PERFETTA
di Barbara Giorgi
In quella casa elegante e glamour, invidiata dai pochi vicini e osservata dai molti turisti,
lì in cima alla collina a piane stracolma di vigneti, ogni cosa deve sempre
stare perfettamente al suo posto.
Margherita è una moglie perfetta, una madre perfetta, una
casalinga perfetta. E appena sveglia, ogni giorno dedica tutto il suo tempo
inseguendo disperatamente l’ambita perfezione. Cura ogni minima cosa, ogni
dettaglio, ogni sfumatura, come se fosse questione di vita o di morte.
Le sedie esattamente distanziate un centimetro dal bordo
del tavolo, la frutta non eccessivamente matura nel vassoio di cristallo, il
tappeto Bukara con le frange perfettamente adagiate sul pavimento di marmo
lucido, la chaise longue posizionata orizzontalmente davanti
all’enorme vetrata che dà sul giardino stracolmo di piante di limoni.
E quando cucina, fa attenzione contemporaneamente ai
tempi di cottura e ad eventuali schizzi di qualsivoglia cibo sul top della
cucina.
Margherita non tollera la visione di macchie di sugo o di
olio fritto, appiccicose ed invadenti, neppure per pochi secondi della sua
perfettissima vita.
Margherita non tollera niente che sia sporco, contaminante,
brutto esteticamente, superfluo, ingombrante. Lei ama la pulizia, la linearità,
l’essenzialità delle cose.
Margherita non tollera errori ed imperfezioni.
Soprattutto se è lei a causarli.
La regola principale della sua regolarissima vita è:
“devo essere perfetta”. Una perfezione totale. Studiata nei particolari, nei
dettagli, nelle sfumature. Studiata nell’abbigliamento, nel trucco, nei gesti,
nelle parole.
Margherita, in pubblico, indossa solo abiti classici,
della serie gonna due dita sotto il ginocchio
possibilmente grigia e camicetta di seta pura possibilmente bianca. Tacco medio
da signora perbene, collana di perle vere regalo della suocera e coordinate a
piccoli orecchini regalo della madre. Trucco minimo con fard rosa pesca e
lucidalabbra, capelli raccolti a chignon, con forcine fantasma. Gesti misurati
al millimetro e parole calibrate e dosate “q.b.”.
Secondo lei, questo è il minimo sindacale della
perfezione. Qualcosa in meno potrebbe risultare sciatteria, qualcosa in più
potrebbe essere considerato volgarità.
Poi c’è la seconda regola: “ogni oggetto deve avere una
sua precisa collocazione e posizione.” E questa è la regola con cui gestisce la
realtà di quella casa sulla collina a piane, dove le scatole dei biscotti sono
allineate nella dispensa come soldati all’alzabandiera, dove la polvere è ormai
un ricordo lontano nel tempo, dove sui vetri delle finestre non soggiornano
neppure le mosche infastidite da troppa pulizia.
E Margherita è felice. Perché questa è la terza ed ultima
regola: “devo essere felice”.
La felicità non può essere un attimo, uno stato d’animo
che arriva all’improvviso e fugge via come un ladro: la felicità deve essere
una costante della vita. E’ necessario alzarsi felici, sentirsi felici in ogni
momento della giornata, andare a dormire felici. Solo così si può vivere una
vita perfetta, fuori e dentro. Dalla collana di perle, alla mancanza di
polvere, al sorriso sulle labbra.
C’è solo un piccolissimo difetto nella vita di
Margherita, un piccolo neo: alcune ore della giornata che lei è costretta a
vivere da quando si è messa quella fede al dito.
Il rientro del marito dal lavoro.
Ecco, in quell’istante la vita perfetta e felice di
Margherita incontra un ostacolo. Si
ferma tutto e tutto diventa un elettroencefalogramma piatto.
La perfezione esplode in mille pezzi come un cristallo
scagliato contro il muro.
La felicità scompare come una piccola isola travolta da
uno tsunami.
Alle sei spaccate di ogni sera, lui rientra a casa.
Alle sei spaccate di ogni sera, quella casa diventa cupa
come un cimitero.
Alle sei spaccate di ogni sera, Margherita non è più
perfetta.
“Cosa hai fatto oggi di meraviglioso, oltre che stirare
mutande? Ah già, hai stirato calzini. Certo, ci vuole intelligenza allo stato
puro per fare queste cose!” e questo è il saluto tipico e consolidato dell’uomo
di casa, del capofamiglia, del lavoratore indefesso, di colui che sbarca il
lunario, paga le tasse e sfama la famiglia.
In genere Margherita dice solo “ciao” perché sa bene che
aggiungere qualsiasi altra parola potrebbe risultare pericoloso per sé e per i
due bambini, ancora troppo piccoli per comprendere le sfuriate del padre.
Incomprensibili comunque, a qualsiasi età.
“Ciao, mi dici. Ciao. Non dici nient’altro? No, meglio di
no: fai silenzio! La tua voce è solo un fastidio. Del resto cosa avresti da
dire di interessante tu? Nulla! Una che pulisce pavimenti tutto il santo giorno
e si lacca le unghie, cosa vuoi che possa dire di interessante?” e questo è il
naturale proseguire del monologo. Ogni santa sera.
Poi il marito beve un aperitivo (preparato da Margherita)
e si addormenta fino all’ora di cena. E quando si sveglia dà il massimo di sé,
della sua arte oratoria: “Cosa c’è da mangiare stasera? Le tue noiosissime
ricette da noiosissima casalinga? Le mogli dei miei colleghi sanno cucinare
piatti fantastici e tu mi propini ogni sera le solite cose che ti ha insegnato
tua madre. Ma cosa posso aspettarmi da una che non ha un briciolo di
iniziativa, di creatività, di inventiva? Nulla. Ora mangio questo schifo e me
ne vado fuori al bar, con gli amici. Almeno lì respiro un po’ di vivacità, di
allegria. Tu sei una morta che cammina….”
Sì, Margherita è una morta che cammina. Lei ci prova ogni
giorno a raccontarsi la favola della perfezione e della felicità. Ma ogni sera
il pulsante va sull’off e lei si spenge.
E quando il marito finalmente esce dopo cena (per tornare
ad orari improbabili), lei finalmente fa l’unica cosa da essere umano che
riesce a fare: piange.
Messi i bambini a letto, si sdraia sulla chaise longue
davanti alla grande vetrata, accende le luci del giardino e osserva le piante
di limone.
E piange. In silenzio: nel silenzio della casa, nel
silenzio della sua anima, nel silenzio dei sentimenti.
A volte le balena un timido pensiero: fuggire via. Prendere
i bambini e andarsene per sempre. Prendere i bambini e costruire un vita degna
di essere vissuta. Ma dove, come?
Così, si asciuga le lacrime.
E per trovare una via d’uscita a tutto quel dolore, per
mentire una volta di più a se stessa, pensa: “la colpa è mia! Non sono…. perfetta!”